World of Werewolf

la Voce della notte, un'assaggio della storia che io sto scrivendo sui lycan

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artenair
view post Posted on 7/3/2009, 16:18




“Vivi di carne come di parole, ama Gaia, la Madre Terra, come la sua sorella Luna e non temere ciò che verrà domani. Combatti, e se il dolore ti assale rallegratene ugualmente perché ciò può solo significare che sei ancora vivo.”

Prologo

La notte in cui iniziò tutto …

Il mio fiato saliva in nuvolette pallide nell’aria gelida, i miei occhi rimanevano socchiusi a scrutare quella luce strana, sottile eppure potente.
La luna piena mi esaltava, mi rendeva ebbra. Io ero tutto e niente, ma tutto era me. Sentivo il respiro dei conigli acquattati nelle loro tane di terra e di sassi, sentivo che la vita pulsava nei fiumi, nei fili d’erba mossi dalla brezza, quella stessa brezza che mi portava una miriade di odori meravigliosi e sfumati, come in sogno, essenze di gelsomino, di sambuco e di geranio selvatico lontani.
Risalii lungo la collina seguendo il mio olfatto, vidi muoversi figure slanciate, a quattro zampe, irsute e dal manto splendente bagnato della pioggia di quel pomeriggio. Vidi quelle ombre rapide zigzagare fra i tronchi, li vidi uggiolare, guaire, urlare, gemere. Li vidi rincorrersi alla pallida luce strana, sbuffare annusando la terra e seguire le tracce della carne che vive.
Erano lupi. Erano simili a me eppure tanto diversi che mi spaventarono.
Più piccoli, più compatti, più veloci di me, con i loro fianchi slanciati eppure muscolosi. La mia goffaggine mi rendeva male accetta dal branco bisognoso di predatori rapidi che scomparivano silenziosi quasi non battessero le zampe contro la terra, quasi non calpestassero la stessa erba verde che calpestavo io.
Il loro odore mi raggiungeva, mi rapiva, mi chiamava.
Mi diressi verso di loro a passo lento, con il cuore in gola. Il palpitare del muscolo che dal mio petto pompa il sangue nelle mie vene si fece più veloce man mano che mi avvicinavo alle ombre.
Serpentine le teste feroci dei lupi si sollevarono verso di me ed io potei vedere i loro occhi d’oro e d’ambra brillare alla luna. Le loro labbra nere e magre si sollevarono in ringhi minacciosi, mi allontanarono con i mormorii vibrati delle loro ampie gole di bestie selvagge.
Retrocedetti, sotto i miei polpastrelli sentivo l’umidità grassa del terriccio, del legno marcio e del trifoglio, di aghi di abete e di condensa. Inspirai e sollevai le labbra, arricciando la lingua.
I lupi si mossero verso di me, rizzando i peli e le belle code folte dalle punte nere. Io mi alzai sulle zampe posteriori, contrassi i muscoli delle spalle e mi scrollai di dosso la voglia di fuggire.
Tesi ogni tendine ed ebbi modo di credere che ogni cellula fosse pronta a scattare, a fare male, ogni mia fibra ringhiava e si teneva pronta a dilaniare.
Vidi un animale magnifico avanzare alla testa del branco di lupi, puntandomi come se fossi un coniglio gigante, avanzando un passo alla volta come se non volesse farmi fuggire, eppur con la stessa cieca fame, determinazione di sopravvivenza, di chi accerchia la preda prima di carpirla. Aveva una pelliccia grigia scura, con sfumature brillanti sul dorso muscoloso, fasci di fibre che vibravano ad ogni movimento sotto la pelle spessa degli arti anteriori e piedi larghi, tondi, pesanti, che lasciavano impronte altrettanto spaventose, ma nemmeno la metà delle mie. Il suo muso era altrettanto largo e pesante, ursino, con ciuffi di pelo ispido sulle guance che si ergevano a raggiera e continuavano sui lati del collo fino a sfumare nella criniera serica, morbida e folta, che arrivava fino all’attaccatura delle spalle, dove si potevano scorgere striature nere che oserei definire tigrine.
Mi guardò negli occhi, superando l’ancestrale paura che lega il lupo alle creature come me. Le sue iridi spietate sembravano d’argento vivo e guizzante, predatrici come lui, con pennellate d’ottone e d’oro fuso.
Anch’io sostenni con temerarietà il suo sguardo e avanzai tentando di darmi un’andatura contenuta, di soffocare gli istinti primordiali della carne e del sangue che mi assalivano quando la luna piena si levava su di me.
Il lupo grigio retrocedette, piegando il muso sul petto bianco.
Aveva paura, ma la cosa peggiore era che lo stava dimostrando.
Io mi slanciai verso di lui, dimenticando ogni cautela, digrignando i denti, spaventandolo. Credevo che i lupi mi avrebbero attaccati in massa, avrebbero tentato di uccidermi, ma non fu così. Rimasi sola, una creatura dannata sotto la luna piena, a guardare le schiene argentee dei componenti del branco che si allontanavano troppo velocemente perché potessi raggiungerli. Una malinconia oscura mi risalì dal petto alla testa e un pizzicore strano mi fece venir voglia di urlare e di piangere.
Mi sedetti sulla terra umida e la tensione che m’attanagliava i muscoli si sciolse d’improvviso. Puntai il muso alla luna. La benedissi. Poi la maledissi. Infine feci l’unica cosa che avrebbe potuto esprimere quello che provavo. Ululai.
Ed il mio urlo solitario spaventò ogni creatura, terrorizzò i conigli nelle tane e terrorizzò gli uomini, si udì a grandi distanze, riecheggiando ovunque. Era il mio dolore ed il mio piacere, il mio modo di chiedere aiuto e di allontanare chi era troppo incauto da cercare di darmelo.
Udii risposta. Qualcun altro era dannato come me. Qualcuno poteva aiutarmi senza venire scacciato, qualcuno poteva essere il mio piacere senza tentare il mio istinto del sangue, la fame che mi rendeva cieca e feroce al punto tale che i grandi branchi avevano paura di me.
Il pelo mi si rizzò istintivamente sulle spalle, socchiusi gli occhi e scrutai l’orizzonte pallido di abeti magri e neri vagamente illuminati. Un profumo forte, silvestre, selvaggio solo in parte e se non altro familiare mi raggiunse e m’invase le narici, portato dal vento come fumo dei camini degli uomini.
Vidi ciò che stavo cercando, ma ciò che cercavo si volse e corse via.
Era giocondo, sfuggente, mi invitava a correre con lui. Ed io partii, sollevandomi sulle zampe rapidamente, senza più malinconia a sostituire la gioia che nasceva nel mio cuore alla sola vista di quella figura familiare e galoppando senza remore, senza freni, slanciandomi sull’erba e sulla terra senza timore di non poter raggiungere il mio obbiettivo, che era veloce quanto lo ero io e mi desiderava quanto io desideravo lui.
E mentre correvo, il vento, brezza fresca notturna che sapeva di aghi di pino e di resina dolce, mi accarezzava la pelliccia, i miei muscoli perdevano ogni torpore, divenivano vivi, vivi davvero, non nel modo feroce di quando erano pronti a dilaniare, ma solo come ora,che erano pronti a sforzarsi per raggiungere un compagno il quale mi avrebbe aiutato a sfamarmi, il quale avrebbe compreso la natura del mio problema e del mio spirito pur senza tentare di capirlo, ma semplicemente perché era ciò che ero io.
La sagoma era ancora lontana, ma d’un tratto si fermò e si mise eretto sulle zampe posteriori. Era curioso, sembrava una marmotta gigante. Non superava la mia altezza, ma aveva fattezze notevolmente più tozze. Era un maschio, il suo odore era inconfondibile, forte, muschiato.
Non riuscivo ancora a riconoscerne tutti i tratti, ma più mi avvicinavo, più mi stava simpatico. Non era il compagno della mia vita, di sicuro, ma era bello. Aveva le spalle meno curve di quelli che sono solitamente i canoni della mia specie, era robusto, ben piantato, con un petto ampio e muscoloso. Meno fibroso ed agile di me, era un ammasso di carne e si era anche permesso di avere del grasso, non capivo dove potesse trovare il cibo in questo periodo di carestia. Ma di sicuro avrei potuto farlo fuori in un batter d’occhio, aveva l’aria del cucciolone, morbido, tenero quanto bastava per non incutermi neppure il normale senso di rispetto che m’incutono i miei simili, anche se ero sicura che per gli esseri umani fosse abbastanza terrificante. Però era proprio questa tenerezza ad attrarmi, non mi spiegavo come fosse possibile che in questo mondo divenuto così crudele esistessero ancora creature del genere.
E poi era coraggioso.
Lui non era neppure intimorito da me. Ero più grande, sicuramente più cattiva, più veloce, ma lui mi guardava calmo dall’alto del suo scarso metro e ottanta, ad un certo punto incrociò anche le braccia sul petto come fanno gli esseri umani. Ero ormai ad un soffio da lui, mi sedetti di nuovo sull’erba e lo guardai meglio.
Aveva la pelliccia di un cupo rossastro, striato di nero sul collo e sui polsi, mentre i suoi occhi erano verdi e luminescenti in modo strano, come se fossero retroilluminati.
Sbuffai per colpa della polvere che mi era entrata nelle narici mentre correvo ventre a terra, poi rimasi immobile. Mi ricordava qualcuno, qualcuno che aveva fatto parte della mia precedente vita umana, prima che la luna reclamasse il mio corpo per trasformarmi in un essere rinnegato dalla natura stessa, una donna che era lupo, ma che non lo era. In realtà la mia vita era sempre stata diversa da quella degli altri, altrimenti non mi sarei ritrovata lì, in una notte di plenilunio.
Mi sentivo braccata. Sentivo che non era normale diventare ciò che ero, sentivo che era successo qualcosa prima di allora e che quel qualcosa mi impediva di ricordare.
Eppure ciò che avevo davanti a me continuava a rammentarmi qualcosa. Si, quel licantropo mi ricordava un uomo. Eppure, con sconcertante certezza, seppi che non era lui.
Si avvicinò tranquillo, un passo avanti all’altro, poi si sedette accanto a me. Era caldo e morbido ed ora il suo odore mi stordiva, mi calmava. Come il gusto ha un retrogusto, anche il suo odore aveva un retrodore, di carne cotta, pigne bruciate, di incenso, di linfa arsa. Mi guardò sereno, le pupille fisse, ferme e profonde, eppure luccicanti come specchi, superfici di due mari profondi e freddi.
Mi toccò la guancia con un umido colpetto di naso. Lo lasciai fare, concedendogli la mia simpatia.
Poi egli guardò le poche, sparute stelle, contrasse i muscoli della gola e spalancò le fauci verso il cielo.
Lo imitai e ci ritrovammo ad ululare alla stessa luna con uguale foga, con uguale felicità. Seppi che era contento di avermi trovata e che forse non ci saremmo mai più separati, forse avremmo trovato insieme altri come noi e avremmo creato un branco come quello dei lupi, forse avremmo fondato una nuova grande famiglia ed il licantropo sarebbe stato riconosciuto come una razza a parte, come la più nobile di tutte le razze. Nel frattempo ululammo fianco a fianco mettendoci tutta l’anima, perché volevamo fare sapere al mondo che esistevamo, che ci eravamo trovati, e che chiunque ci avesse ostacolati sarebbe stato spazzato via per sempre dai nostri artigli e dalle nostre zanne.
Perché noi eravamo la voce della notte.


Edited by artenair - 14/7/2010, 16:12
 
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Athawulf79
view post Posted on 7/3/2009, 16:39




Bello, non ho altre parole.....
 
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artenair
view post Posted on 7/3/2009, 16:44




risposta rapida davvero... vabbè, grazie comunque fratello lupo!
 
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Athawulf79
view post Posted on 7/3/2009, 16:50




Scusa ma quelle scritte sono parole tue?
 
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artenair
view post Posted on 7/3/2009, 17:11




quali scritte?
 
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Athawulf79
view post Posted on 7/3/2009, 17:28




Intendevo dire se il pezzo che hai scritto è un tuo lavoro. Se è opera tua aspetto con ansia l'uscita del tuo libro.

P.S. "SCRITTE" si riferiva alle parole, mi sono espresso male.
 
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artenair
view post Posted on 7/3/2009, 17:32




si, ovviamente è un lavoro mio... non pubblico mica quello degli altri io! grazie ancora... vuol dire che lo hai apprezzato.
ps. no, sono io che ho capito male, la frase era giustissima
 
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SorrowLady(Andrea)
view post Posted on 28/3/2009, 13:40




Mi piace!
 
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artenair
view post Posted on 28/3/2009, 14:35




beh, grazie...
 
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Danyel Draven
view post Posted on 15/6/2009, 08:29




Bello bello! Complimenti, sai fare proprio di tutto!
 
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artenair
view post Posted on 16/6/2009, 13:13




oh, grazie... ma scommetto che anche tu ci sai fare!
 
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artenair
view post Posted on 14/7/2010, 15:13




quasi quasi metto pure il primo capitolo... spero che vi piaccia, anche se è molto "fantastioso"

Capitolo.1
L’inizio del Nuovo Viaggio

Il giorno ci trovò sdraiati l’uno accanto all’altra, ancora per metà ricoperti dalla pelliccia, per l’altra metà protetti solo da vestiti logori e zuppi. Io mi svegliai per prima.
Era strano che mi ricordassi per intero la sera precedente, di solito non riuscivo mai a rievocare i ricordi delle notti in cui la luna mi governava.
Annusai l’aria, poi mi sedetti a gambe incrociate, nella posizione del loto, e osservai il mio compagno della sera precedente, per analizzarne le fattezze umane. Era basso, molto più basso che nella sua forma da plenilunio, tarchiatello, vestito con una tuta da ginnastica umidiccia, senza più maniche, di colore bluastro tendente al grigio. Aveva capelli rossi come fuoco, morbidi, folti come una criniera, ma non lunghi. La frangia era sollevata e lasciava vedere una fronte chiarissima, ampia, marchiata da un piccolo tatuaggio a forma di croce celtica. Mi chiesi cosa volesse dire quel simbolo in quel punto e lo sfiorai con l’indice.
L’uomo tremò.
Ritrassi immediatamente la mano, con il timore di averlo infastidito.
Lui aprì gli occhi e scattò subito a sedere. Il colore delle sue iridi era sempre lo stesso, diversamente dal mio che diveniva giallo, i suoi occhi erano ancora verdi, anche se meno luminescenti della sera precedente.
Mi guardò stupito, poi parve avere l’intenzione di studiarmi, infine si decise a parlarmi
«Tu sei quella di ieri sera?» mi chiese. Aveva una voce abbastanza roca per essere così piccolo, con note nasali e gutturali che si mischiavano dando uno strano risultato. Pensai fosse tedesco.
Annuii lentamente
«Si »risposi, tentando di darmi un tono di voce che fosse materno e rassicurante «Ero io»
«Da quanto tempo sei così come me?»
«Boh. Parecchio» mi strinsi nelle spalle «Immagino di non ricordarmelo, ma non dev’essere la prima volta»
«Per me si. Per me è la prima volta» mi confessò lui, confuso.
Io risi. Era così strano.
Mi guardò con lo sguardo di chi si è offeso, ma non lo era affatto
«Perché ridi?» mi chiese
«Perché sei buffo » risposi io, poi indicai il segno sulla sua fronte «Cos’è quello?»
«Questo?» si portò la mano alla fronte e se la sfregò vigorosamente, lasciandosi il segno arrossato. Aveva la pelle molto sensibile. Mi guardò di sottecchi, poi rise lui
«Non sai che è una croce celtica?»chiese, sorpreso, spalancando gli occhi
«Si che lo so» ribattei, sorridendo «Ma perché ce l’hai sulla fronte?»
«Perché me lo hanno fatto»
«Si, ma perché te lo hanno fatto»
«Dev’esserci per forza un perché?»borbottò, con uno strano divertimento nella voce
«Per tutto c’è un perché»ribattei, con sicurezza irremovibile
«Davvero?Allora dimmi perché siamo nati»
«Perché i nostri genitori hanno deciso di avere dei figli e si sono uniti»
«E perché esistono i nostri genitori e tutto quello che ci circonda?»
«Perché se non ci fossero stati non ci sarebbe stato niente da fare, nessuno avrebbe potuto parlare come parliamo noi e sarebbe stato un mondo schifoso, anzi, non ci sarebbe stato un mondo. Tutto esiste perché deve esistere» gli scompigliai i capelli con la mano come si fa ai bambini e mi alzai in piedi «Tutto esiste per il solo motivo che deve esistere, capisci?».
Lui mi osservò con ammirazione e seppi di aver trovato un fan accanito, un discepolo. Nel frattempo avevo solo fame, però, ed avevo sperato di trovare un compagno di caccia quando invece avevo per le mani qualcuno a cui le cose le dovevo insegnare. Ecco, era ora di andare a caccia.
Anche lui si alzò. Era abbastanza agile nonostante fosse bello tarchiato.
Mi ricordai che non sapevo il suo nome.
«Come ti chiami?» Gli domandai all’improvviso
«Io?»l’uomo si indicò il petto per assicurarsi che mi stessi rivolgendo proprio a lui
«Quanti altri vedi intorno oltre a noi, Zuccarossa?» ribattei spazientita.
Lui si dispiacque di quel mio commento troppo duro e abbassò la testa, afflosciando un po’ le spalle
«Scusa» mormorò «Mi chiamo September »
«Che razza di nome è?»
«Orribile, ma mi chiamo così. E tu?»
«Chiamami come meglio ti va di chiamarmi» risposi, noncurante
«In che senso?»volle sapere lui. Ecco che iniziava a chiedere spiegazioni.
«Nel senso di se vuoi chiamarmi Amica, Lupa, Gialla lo puoi fare tranquillamente»
«Ah» parve deluso, come se si aspettasse di più, poi s’illuminò «Posso chiamarti Furia d’Oro? Furiadoro, tutto attaccato»
«Ah, per me …» io mi strinsi di nuovo nelle spalle «Solo che poi non ti devi lamentare che è un nome lungo»
«E chi se ne lamenta?In famiglia nostra abbiamo tutti nomi lunghi e vogliamo essere chiamati per intero»
«Se speri che io ti chiami September invece di Set, ti stai sbagliando di grosso» lo misi in guardia, ferocemente
«Ah, non mordere …» scherzò lui, facendo un brusco scarto per allontanarsi da me «Va bene, ho capito. Non farò come per tutti gli altri della mia famiglia. D’accordo Furia?»
«D’accordo» dissi, annuendo per sancire il patto. Ero contenta del nome che mi aveva dato. Furia, era un nome che incuteva paura, che poteva far scappare la gente solo ad udirlo. Invece era impossibile immaginare la gente che sobbalza di terrore quando ode il nome di un mese. Il pensiero era buffo abbastanza da farmi sorridere ed in un qualche modo September capì da quel mio sorriso ciò che pensavo
«Hai ragione»disse «September non è un nome da licantropo, no?»
«No» io scossi la testa «Non lo è. Ma allora da cos’è?»
«Ah, non da uomo di certo» mi rispose lui, facendosi enigmatico. Sul suo volto si scavarono due solchi quando divenne assorto, concentrato, ed aggrottò la fronte ombreggiata da quella sua frangia color fuoco. Mi guardò negli occhi
«Sai che September è un nome da mago?»
«No» risposi ancora una volta, abbassando la voce «Tu sei un mago?»
«Diciamo che ne avrei la licenza»
«Ma i maghi non esistono …»
«Si. Neanche i licantropi però» sorrise e sui lati del suo volto si disegnarono due fossette che non avevo mai visto in volti maschili. Io non gli sorrisi di rimando, ma distolsi lo sguardo e mi arrampicai rapidamente su per la collina. Il mio stomaco brontolava.
«Dove vai?» mi chiese lui, arrancando dietro di me con passo incerto
«A procurarci da mangiare»
«Dove?»
«Laggiù» indicai il profilo giallastro di una fattoria. Lì dentro dovevano esserci chili su chili di roba da mangiare. Il mio stomaco iniziò a reclamare quel cibo che ancora non vedevo.
September scosse la testa
«Questo è rubare» mi fece presente, con una lealtà agli umani che mi sorprese
«Cosa?» feci io, con aria innocente
«Mi hai sentito bene. Questo è rubare. Prendere ciò che non ci appartiene»
«Ancora una volta ti stai sbagliando. Nulla appartiene a nessuno finché non entra nel suo stomaco. Chiedi un permesso per uccidere i conigli? Eppure la vita di un coniglio non appartiene ad un coniglio? E tu la rubi»
«Ma è diverso» si lamentò lui, trattenendomi con una mano sulla spalla «Questo è rubare agli uomini. Non si fa perché è contro le loro leggi»
«Non hai mai pensato che magari infrangiamo anche le leggi dei conigli?»
«I conigli non hanno leggi. Hanno solo la loro stramaledetta pelle»
«Ti sbagli. Rispetta la preda»
«Non sono un predatore»
«Ah, no» gli risi in faccia e lui si ritrasse arrossendo violentemente. Si vedeva che gli mettevo soggezione e non aveva alcuna voglia di contraddirmi.
Ne approfittai per avanzare verso la fattoria. Alle narici mi giunse un profumo che avevo dimenticato. Era pasta, calda e tenera pasta con il sugo di pomodoro bello denso che cola a litri dai fili gialli che erano gli spaghetti. Potevo immaginarli, potevo vedere chiaramente di fronte a me il piatto di ceramica bianca pieno di pasta appena versata da una grossa pentola d’acciaio dopo essere stata scolata in uno scolapasta semplice di plastica. Avrei ucciso per quel piatto di pasta, ma decisi per un approccio più amichevole. Forse lo feci per fare contento September, ma decisi di chiedere da mangiare ai contadini. Peggio per loro se avessero rifiutato.
Mi appressai al loro rudimentale uscio di legno e feci segno a September di avvicinarsi. Lui fece qualche timido passo e mi guardò come per chiedermi cosa avessi intenzione di fare. Incrociai le braccia davanti al petto e annuì con sicurezza in risposta. Volevo fargli capire che era tutto a posto, che non volevo ammazzare nessuno.
Bussai con le nocche sul pannello di legno che si trovava di fronte a me e dall’interno una voce burbera, rude, esclamò
«Chi è?»
«Due pellegrini »risposi forte, dandomi un tono umile eppure deciso
«Pellegrini?»chiunque mi avesse risposto aprì la porta.
Era un ometto tarchiato, castano, grasso, spettinato. Aveva occhi stranamente ottusi, offuscati dalla stupidità e dall’ignoranza, una faccia in carne, guance sode, dure, ricoperte di barba non fatta, nerastra come una spolverata di pepe. La fronte era bassa, segnata da linee scure di sudore sporco.
Lo guardai come si guardano i malati di mente, ma parve non accorgersene
«Qual è il vostro nome?»chiese a me ed a September, con flemma
«Io sono Fury e lui è Set» risposi
«Strani nomi» ribatté lui «Di dove siete?»
«Non me lo ricordo»risposi sinceramente «Siamo vagabondi»
«Vagabondi?» storse la bocca in una specie di smorfia «Entrate».
Bene, molto bene. Gli avevo fatto paura, altrimenti non si spiegava perché ci avesse fatti entrare.
L’interno del casolare era ampio, ma trascurato. C’era una donna dai capelli biondi e due bambini di sei e sette anni. Mi guardarono male. Io sollevai gli angoli della bocca in un sorriso che avrebbe dovuto rassicurarli, ma loro distolsero lo sguardo terrorizzati. Ah, già, avevano notato le mie zanne, i miei canini innaturalmente appuntiti. Eppure erano una caratteristica che non risaltava poi troppo.
September era dietro di me e si vedeva subito che era umano, molto più di me, e per di più poteva essere una buona compagnia.
«Buongiorno»Disse cortesemente, inchinandosi con una gentilezza d’altri tempi «Io sono September Aster, mi dispiace davvero di dover chiedere un favore del genere ad una bella famiglia come la vostra»
«Oh no» intervenne la donna, affascinata da quei modi cavallereschi al punto tale da ignorare le vesti fradice che pendevano dal corpo dell’uomo «Chiedete pure»
«Vedete, io e la mia compagna di viaggio non mangiamo da più di un giorno. Vorrei chiedere se, umilmente potreste….»
«Ma certo» la donna annuì ed i suoi occhietti luccicarono «Saremo lieti di dividere il nostro pranzo con voi. Nostro Signore lo ha detto di accogliere il più piccolo dei suoi fratelli come accogliamo lui. Ma purtroppo ci trovate impreparati …»
«Già» borbottò rudemente il maschio, sedendosi su una sedia di legno e vimini intrecciato piuttosto graffiata e consunta sui piedi «Purtroppo non abbiamo niente da darvi di pronto»
«Pane»dissi io «Pane, pasta, carne cruda,pesce, formaggio. Qualunque cosa».
Parve sorprendersi della mia fame. September invece si lasciò sfuggire una risatina.
La donna, che continuava ad avere paura di me, si alzò e si allontanò. Io studiai i bambini. Erano abbastanza in carne anche loro per essere figli di un contadino, con guance rosee e piene, capelli folti e puliti, vestiti semplici, ma quasi nuovi. Indossavano scarpe nere, l’unica cosa impolverata del loro vestiario.
Intuirono la mia natura solo guardandomi negli occhi, ma tacquero. Evidentemente erano abituati a non contestare mai le decisioni prese dai loro genitori e per loro se il padre aveva deciso di farmi entrare vuol dire che non ero pericolosa. Peccato per quegli stolti contadini avere una prole così sottomessa, se fossero stati abituati a dire ciò che sapevano, forse si sarebbero salvati la notte del plenilunio che sarebbe venuta dopo ventinove giorni.
September intuì i miei pensieri, lo capii da come mi guardò.
Io mi avvicinai a lui e gli sfiorai il petto con un indice. Lui rabbrividì e retrocedette. Anche lui,adesso, temeva che potessi fargli del male.
E forse era davvero così, forse ero troppo lupo e troppo poco donna.
Gli avrei fatto del male se non mi fosse stato simpatico.
La donna contadina ritornò.
Recava con se una forma di formaggio, caciotta stagionata o pecorino moro, dalla scorza spessa, una pagnotta da un chilo e mezzo ed una collana di salsiccia. Ora si che si ragionava, finalmente aveva capito di cosa avevo bisogno. Non ci fu nemmeno l’esigenza di strappargliele di mano, me le diede quasi volentieri, capendo che avrei potuto anche cavargli gli occhi con le dita e mangiarmeli per quanta fame avevo.
September si sorprese quando iniziai a mangiare la salsiccia cruda, ma non potevo biasimarlo. Anch’io all’inizio, quando mi avevano svezzata, mi sentivo strana nel nutrirmi di carne cruda. Non sapevo come fosse possibile, ma ricordavo chiaramente l’imbarazzo che provai quando, ancora piccolissima, invece del latte mi portarono un grosso pezzo di carne sanguinolenta, dall’odore forte e quasi metallico.
Ora però era tutto molto più semplice e ci avevo anche preso gusto.
Tutti mi guardavano colpiti. I bambini non osavano fiatare in mia presenza, io invece mi ingozzavo senza neppure degnarli di uno sguardo. Con la coda dell’occhio notai che la mano destra del contadino tremava violentemente e più di una volta fece con il polso un accenno a risalire per farsi il segno della croce.
«Dio vi benedica!»Dissi allegra, una volta che ebbi finito con la carne.
Bastarono quelle parole a sciogliere l’atmosfera tesa. Mamma mia, mi sembrava di stare nel medioevo, dove chi non nomina Dio è malvagio, chi invece lo fa ogni tre secondi deve essere per forza buono, perché ovviamente si affida a Nostro Signore Iddio l’altissimo ecc … banda di superstiziosi. Magari secondo loro un uomo lupo non può pronunciare la parola Dio.
September prese educatamente il pane che io gli diedi e ringraziò tutta la famiglia
«Grazie mille signori. Non dimenticheremo il vostro gesto, anzi … »si frugò nell’interno della tuta grigia strappata e ne trasse un monile d’oro delle dimensioni di una noce «Spero che basti a pagare quanto abbiamo preso»
«Oh cielo!» esclamò la donna bionda, visibilmente emozionata mentre accettava fra le mani quella piccola fortuna «Quali angeli vi hanno mandati in casa nostra?»
«Non preoccupatevi di quali angeli ci abbiano mandato. Siete stati generosi. Nostro signore ha detto di dare da bere agli assetati e da mangiare agli affamati. Voi l’avete fatto»
«Ma voi …»
«Non badate a ciò che siamo noi» September sorrise in quel suo modo così stranamente tenero e buffo che dovetti trattenermi dal dargli un buffetto sulla testa «Ma sappiate che il bene trionfa sempre»
«Volete rimanere da noi per cena?»
«Oh no, grazie, ci siamo già trattenuti troppo».
Il mio istinto di dargli un buffetto in testa si trasformò in una voglia prepotente di picchiarlo. Declinava un invito a mangiare? Ma me lo sarei mangiato io a lui se solo fosse stato appena più antipatico!
Il contadino sollevò le braccia e si alzò in piedi
«Mi dispiace che non vogliate fermarvi, ma immagino che abbiate molta strada da fare»
«Più di quanta ne immaginiate» rispose September, con aria saggia e sognante, ma anche con una strana pesantezza nello sguardo
«Ah, davvero?» mi intromisi io, acidamente.
L’uomo mi guardò come se fossi matta e September sorrise
«Davvero, sì. Entro stasera dobbiamo percorrere tutta la distanza che ci separa dal Villaggio del Sole»
«Ah» .
Non so perché, ma annuii come se fosse una risposta plausibile. Ero davvero matta?
Ci congedammo, o meglio, September parlò per una decina di minuti di cose che non mi interessavano come il tempo e la politica americana e poi uscimmo alla luce del Sole.
Io iniziai a sentirmi una perdente in campo umanitario. Non ci capivo niente, ma in compenso ero forte e ne sapevo molto di più di natura. E se c’era qualcuno che poteva portare a destinazione September attraversando la natura selvaggia, quella ero io. Peccato che non sapessi neppure dell’esistenza del Villaggio del Sole. Ma che razza di nome era per un paese americano?
September si stiracchiò. Sentii le sue ossa scricchiolare dentro la pelle, nonostante il mio udito fosse molto peggiore di quando ero nella mia forma lupesca, era ancora migliore di quello di qualunque essere umano.
Ridacchiai nervosamente
«Ma chi ti ha detto di non accettare quella cena?»ringhiai
«Hey, calma, calma» September deglutì e si allontanò da me rapidamente di qualche centimetro, tenendomi d’occhio come se il mio alito lo potesse sciogliere
«Si, ma chi te l’ha detto?»
«Dobbiamo davvero raggiungere quel villaggio»si giustificò lui, stringendosi nelle spalle con noncuranza
«E perché?»
«Perché mi stanno aspettando»
«Chi ti aspetta?»chiesi, quasi aggredendolo. Ero curiosa, molto più di quanto non volessi dimostrare. Volevo sapere se September era davvero un mago e se i maghi esistevano, ed avevo l’inspiegabile impressione che non c’era modo migliore per scoprirlo che intraprendere un viaggio insieme a lui.
Si sarebbe parlato a lungo del mago licantropo e della sua compagna, ne ero certa.
Lui scosse lentamente la testa
«Mi attendono molte persone, ma solo una mi sarà d’aiuto»
«Insomma, che ci vai a fare?»
«A imparare l’arte»
«Arte?»
«Si, l’arte della magia …»
«E così i maghi esistono … »commentai, forse mostrandomi fin troppo pensierosa
«Sì» lui si infilò le mani nelle tasche umide e avanzò a saltelli «Ti ho detto che il mio è un nome da mago, no? E quindi io sono un mago» dondolò su e giù sui talloni «Un mago che va a trovare il suo maestro»
«Ah. Però sei un licantropo anche»
«Si, sono anche un licantropo. Però non come te»
«Ah, no?» io feci finta di offendermi e lo afferrai per le spalle, stringendogli la carne con le unghie «E come chi sei?»
«Non sono un licantropo naturale. Non sono nato così e non sono stato contagiato dal virus licantropico» mi spiegò lui, tentando vanamente di sottrarsi alla mia presa scivolando verso il basso, ma senza riuscire a muoversi più di tanto
«Allora come sei diventato licantropo?» chiesi io, sollevando le labbra fino a mostrare i canini aguzzi
«Sono maledetto. Mi sono auto maledetto come uno stupido».
Lo lasciai andare e mi misi al suo fianco, infilando anch’io le mani in tasta con noncuranza
«Maledetto?In che senso?»
«La magia è una cosa molto pericolosa. Puoi crederci o non crederci, ma se non ci credi ti conviene non cercarla. Lei trova sempre chi la cerca e può fargli molto male»
«Non capisco …»
«La magia mi ha trasformato in licantropo. Sono un maledetto, Fury, come quello dei libri-
«Maledetto nel senso che la magia ti costringe a trasformarti in un uomo lupo tutte le notti di luna piena?»
«Magari fosse così semplice» September alzò la testa e guardò il cielo, poi si fermò e mi guardò negli occhi, implorante «No. Io sono lupo tutte le notti».
Bene. Perlomeno non era uomo tutte le notti.
Ci misi nemmeno mezzo secondo a calcolare tutte le possibilità di quanto mi aveva appena detto.
Quella stessa notte September si sarebbe trasformato di nuovo in quell’adorabile creatura rossiccia e morbida che ti faceva venir voglia di coccolarlo, ma che con tutta probabilità sapeva cacciare esattamente quanto un coniglio gigante. Bene. Gli avrei insegnato a cacciare.
Ridacchiai
«E questa sarebbe la tua maledizione ragazzo?»
«Sì» arrossì leggermente, ma sembrava non preoccuparsene troppo «Perché, non ti sembra abbastanza?»
«No. Mi sembra una benedizione più che una maledizione»
«Cosa?».
Io risi forte. Non mi ricordavo di avere una risata del genere, sembravo uno di quei malvagi dei cartoni animati o dei film.
Lui indietreggiò facendo finta di spaventarsi
«Mamma mia» sussurrò «Ma dove hai imparato a ridere in questo modo?»
«Sai che non me lo ricordo …»
«Sei forte, lo sai?»
«Altrimenti non sarei sopravvissuta» gli ricordai io, ma evidentemente lui alludeva ad altro
«Ma no» mi disse «Sei forte nel senso che hai un carattere particolare, un bel carattere, duro, speciale»
«Grazie, ma mai come te»
«Davvero?» i suoi occhi si illuminarono di quella strana luce della sera precedente «Davvero trovi che io sia forte?»
«Sì, ed anche molto attraente».
Lui si portò una mano al petto e deglutì tre o quattro volte. Capii che quell’ultima piccola bugia lo aveva colpito veramente. Beh, forse non era proprio una bugia, ma di certo non mi attraeva come volevo fargli credere.
Però era vero che era forte nel senso che intendeva lui.
Corsi via su per la collina. Volevo vedere se riusciva a raggiungermi e capii che non ci sarebbe mai riuscito quando udii il suo respiro affannoso allontanarsi sempre di più invece di avvicinarsi.
Mi fermai e mi sedetti sull’erba a gambe incrociate. Lo vidi ricomparire, con il fiatone, le mani tese in avanti
«Basta, basta, basta» m’implorò «Non ce la faccio a starti dietro, non ce la faccio»
«Come mai?»
«Non sono allenato e sono stanco»
«Mangia allora. Non hai fame?»
«Sì, ho una fame da lupi» sorrise autoironicamente ed estrasse un coltellino dalla famosa tasca interna della sua tuta da ginnastica grigia, poi fece rotolare la forma di cacio che teneva sottobraccio sull’erba ed anche lui si sedette con eleganza accanto a me «Che ne dici, spuntino veloce?»
«Certo».
Mangiammo il pane ed il formaggio. Lui era straordinariamente lento nel cibarsi, mentre io … beh, io avevo fame, era plausibile che neppure un topo a digiuno riuscisse a rodere più veloce di me.
Finii di sbranare metà del cacio una mezz’oretta prima di lui e andai a farmi una passeggiata, nonostante mi seccasse un po’ di doverlo lasciare solo. Avevo la sgradevole impressione che senza di me sarebbe morto mangiato da qualche belva.
Camminai per un po’ sul prato che si perdeva a vista d’occhio e che costeggiava il bosco. C’era un ottimo odore grasso di terra e foglie umide e si vedeva che la primavera stava avanzando.
Mi concentrai per qualche istante sul canto degli uccelli. Aveva note modulate che avevo già udito decine di volte. Quante primavere avevo già passato? Non lo sapevo. E probabilmente non mi importava neppure saperlo, ciò che mi importava era che la primavera veniva ogni anno ed era sempre più bella. Forse era la mia stagione preferita, ma nemmeno di questo potevo essere sicura perché non riuscivo a ricordare esattamente cosa fossero le altre tre stagioni e non ci sarei riuscita finché non le avrei provate.
Udii September chiamare il mio nome e risposi con un ululato scherzoso.
Lui comparve correndo, ma quando mi vide s’incupì
«Non prendermi in giro!»esclamò, sollevando le braccia come se volesse acchiapparmi e chiudendo le mani ad artiglio «Posso essere molto più lupo di quanto tu possa immaginare!»
«Ah,si certo, come no … sei feroce …»
«Non mi hai mai visto con la luna rossa!»
«Che ti succede con la luna rossa?»
«Arghrar!»fece finta di ruggire e scosse la testa, come se volesse scrollarsi di dosso un parassita grosso come un’ uomo adulto «Divento alto sei metri e pesantissimo, con dei canini così grandi che a sfiorarti ti tagliuzzano!»
«Ah si? E dove la prenderesti l’energia per una trasformazione del genere?»
«Mangio tutto quello che trovo sul mio cammino e lentamente cresco … cresco … cresco …auuuu!»
«Ma dai …»
«No» mi guardò seriamente, poi ridacchiò con incerto nervosismo, e mi fece capire che non stava affatto scherzando «Tutto questo è vero. Fa parte della mia maledizione. Divento un Grande Crinos»
«Eh?»
«Un grande Crinos» urlò e mi superò correndo, facendo finta di essere agile e abilissimo «Una bestia orribile e tremenda, un maledetto lupo di tre metri»
«L’avevo capito questo …» gli trottai dietro senza fatica e lo acchiappai per la collottola «Ragazzino, così ci metterai anni per raggiungere il villaggio che cerchi. Dimmi verso dove devi andare, dai … »
«Non lo so, è questo il problema … »
«Come fai a non saperlo?» riusciva sempre a stupirmi, sia positivamente che negativamente
«So la meta, ma non so la strada. Dobbiamo recarci al Villaggio del Sole»
«Bah» scossi la testa e lo mollai, facendolo ruzzolare a terra con una piccola spinta sulla nuca «non mi piace il nome del posto dove mi stai portando»
«A me si» scattò seduto, poi si rialzò scrollandosi la terra di dosso «Mi piace molto come nome, è solare …»
«Per l’appunto» ridacchiai, poi mi feci seria, sollevai un sopracciglio e lo riacchiappai dietro il collo «Hai detto che devi arrivarci entro stasera, ma ora spiegami come fai se non sai assolutamente dove dirigerti»
«Mentivo» rispose semplicemente, stringendosi nelle spalle goffamente «Non devo arrivarci entro stasera per forza. Non se ci sei tu con me»
«Perché?»
«Mi proteggerai, non è vero?»
«Chi ti assicura che farò una cosa del genere?» lo spinsi avanti e indietro, poi lo lasciai e ringhiai «Pensi che io sia la tua guardia personale?»
«No, assolutamente. Ma mi vuoi bene, vero?»
«No» mentii, come per sentirmi più forte, stringendo un pugno
«E allora perché vuoi aiutarmi?»
«E va bene, va bene » mi massaggiai le tempie con una mano sola «… Innanzitutto si, ti proteggerò … ma perché senza di me avresti dovuto arrivare al Villaggio del Sole entro questa sera?»
«Ah, ma sei di coccio?» mi rise in faccia e la frangia gli coprì per qualche istante il tatuaggio a forma di croce celtica «Semplice, stanotte mi trasformerò. Se non ci fossi tu non so cosa farei … mi metterei nei guai … ucciderei qualcuno. Mi controllerai?»
«Certo» risi «E ora in cammino … Verso dove?Non si sa. Ma cammineremo, qualsiasi cosa accada ti porterò in quello stupido villaggio da vivo».
E così iniziò il nostro viaggio.
Saprei che avrei mantenuto la parola data, lo avrei portato vivo al Villaggio del Sole.
Proseguimmo per ore. Chiacchierammo del più e del meno. La voce di September era davvero allegra e mi metteva il buonumore, può sembrare banale, ma io adoravo quel timbro così strano da ragazzo.
Ma più avanzavamo, più il suo buonumore diveniva fievole. Non si intristiva affatto, ma colsi una sfumatura del suo tono che non mi convinceva, una sfumatura che sapeva di dolore.
Ad un certo punto gli vidi chinare la testa e lasciarla così, ciondolante sul petto. Non voleva che io vedessi che lui sentiva già l’affanno, non mi dava a vedere che il suo fiato si faceva leggermente aritmico. Sapeva che i miei sensi erano tali da poter capire ogni suo più piccolo problema. Rallentai, non gli dissi nulla per non ferire il suo orgoglio, ma quando notai che iniziava a trascinare i piedi non ce la feci più ad assistere impotente. Gli passai una mano dietro le spalle, una dietro le ginocchia, e lo presi in braccio
«Sei lycan da troppo poco» gli dissi «Sei ancora molto debole, non riuscirai a camminare ancora fino a stanotte. Pertanto ho deciso che ti trasporto»
«Sei impazzita?!» mi urlò lui «Guarda che non è vero, ce la faccio benissimo, non sono mica di burro»
«No» ribattei irremovibile «Ma sei umano»
«Ma che dici?»
«La verità. Zitto, prima che ti addormenti con un colpo in testa».
Lui fece finta di tossire e socchiuse gli occhi.
Lo trasportai per parecchio tempo, finchè non si addormentò da solo come un bambino piccolo.
All’inizio non ero poi così felice dei miei pensieri, di provare affetto per lui, ma poi pian piano ben altro genere di sentimento mi colse nel guardarlo …
Era tenerissimo, così giovane, così chiaro e morbido, aveva abbandonato completamente il suo destino nelle mie mani. Letteralmente.
E pensare che era un licantropo anche lui e che pensavo che mi avrebbe aiutata a combattere … risi sommessamente delle mie idee bizzarre e analizzai il paesaggio circostante. Dovevo trovarmi all’incirca presso un insediamento rurale umano, perché le cascine e i filari ordinati di vegetali erano dappertutto.
E poco dopo vidi sorgere all’orizzonte la sagoma scura dei tetti e delle case di un piccolo paese.
Non poteva essere il Villaggio del Sole, era troppo infimo e fumoso, brunito, e non aveva assolutamente niente di solare, era solo piccolo e basta.
Non pensavo che esistessero paesi del genere da quelle parti, ma ugualmente mi avviai verso di esso, fiancheggiando una strada di sassi grigi fra cui crescevano ciuffi d’erbetta di quella dura e sottile, scura anch’essa.
Fra le mie braccia September mugugnò nel sonno, arricciando per un istante le labbra morbide e dritte in una specie di ringhio rattristato.
A volte mi veniva voglia di fargli del male, di picchiarlo, non sapevo perché, ma poi mi passava quasi subito.
Inspirai profondamente. L’aria sapeva già di umani, del loro stupido profumo coperto da altri profumi innaturali, del loro sudore che cercavano malamente di nascondere, dei metalli e dei tessuti che portavano indosso. Rame, oro, argento. Soprattutto l’argento.
Mi sforzai di non commentare né borbottare come facevo di solito, per non svegliare September, anche se avevo la netta impressione che non si sarebbe svegliato se non lo avessi preso come minimo a calci.
Entrai nel villaggio lentamente.
Ormai era il tardo pomeriggio e per fortuna tutto era fermo come morto sotto i raggi del sole cocente che mi scaldava la nuca come scaldava le strade e le case.
Ero stanca anch’io, ma ci ero abituata da tempo ormai e mi fermai solo qualche istante prima di trovare un riparo. Vidi il volto di una donna affacciarsi alla finestra consunta di una casa.
Istintivamente abbassai la testa, pur rendendomi conto che era un’azione stupida.
La donna mi guardò allibita. No, non guardava me … guardava September.
Mi allontanai e mi nascosi all’ombra di un edificio più alto degli altri.
Dietro di me, dietro il muro contro cui poggiavo la schiena, c’erano degli uomini che mangiavano, guardavano la televisione e giocavano a carte, potevo chiaramente udire i loro schiamazzi rumorosi.
Posai a terra September e gli misi una mano su una guancia
«Ehi, mago»sussurrai piano «Se non ti svegli sono guai».
Lui aprì un occhio verde e lucido
«Cosa io … ho dormito? Che è successo?» scattò a sedere e si guardò intorno intontito, in un crescendo di perplessità che temevo sarebbe potuta sfociare in una crisi isterica «Ma quando ci siamo arrivati qui?»
«Dormivi» risposi io, sedendomi accanto a lui
«Dormivo come?»
«Con gli occhi chiusi, come volevi dormire?»
«Sono sonnambulo per caso?»
«No, ti ho portato in braccio»
September guardò verso il cielo, evidentemente cercando di capire che ora fosse dalla posizione del Sole
«Tutto questo tempo?» le sopracciglia rosse s’inarcarono e la fronte gli si corrugò in una strana espressione «Mi dispiace di averti fatta stancare, ma pensi male se pensi che non possa camminare con i miei piedi, Fury!»
«Davvero?» sorrisi «Guarda che lo sapevo già se è per questo che hai un paio di piedi e che servono per camminare, ma è bene che tu non ti stanchi. Credimi. Ci sono già passata da questa fase, i primi giorni sono una tortura per l’organismo, è bene che non ti stanchi».
September sbuffò seccato, poi si guardò intorno. Gli tornò subito il buonumore
«Dove siamo?»
«Non ne ho idea» risposi con sincerità «Ma credo che troveremo riparo e vestiti nuovi in questo posto»
«E a che mi serviranno se ogni notte mi trasformerò?»
«Non ne ho idea» mi strinsi nelle spalle, trattenendomi dal dirgli che se i vestiti non gli servivano era meglio che girasse nudo «Ma a me serviranno per non far pensare a male di me ogni volta che passo. Guardami, ti sembro civile?».
Lui mi studiò socchiudendo un occhio. Si mise una mano sotto il mento e l’altra in tasca, poi il suo petto iniziò ad andare su e giù con rapidità, mentre lui serrava le labbra. Stava per mettersi a ridere.
Strinsi un pugno.
Lui scoppiò in una sonora risata
«No» ululò «No, non mi sembri affatto … pff … ahaha… civile!».
Stranamente non decisi di fargli del male. Aveva ragione, a voglia se aveva ragione a ridere! Dovevo avere un aspetto spaventoso. Ero due volte più larga di una qualunque umana, più alta, indossavo vestiti che non solo mi stavano larghi, ma erano anche laceri, come se un granchio gigante li avesse sfilacciati inabissandosi.
September smise di guardarmi per smettere anche di ridere, sebbene ancora aleggiasse un vago sorriso sulla sua faccina paffuta.
Io percepii qualcosa muoversi in direzione di me. Era qualcosa di grosso. Qualcosa che non era umano. O forse che semplicemente non aveva le caratteristiche di tutti gli altri umani.
Mi voltai di scatto. Ero stanca, ma non avevo paura. Né pensavo tantomeno che esisteva in quelle terre qualcuno in grado di attaccarmi e farmi del male, non a mani nude.
September mi guardò perplesso
«Senti qualcosa?»
Gli feci segno di tacere portandomi l’indice alle labbra. Osservai a terra delinearsi sotto il sole cocente un’ombra di qualcuno che stava per svoltare l’angolo. Serrai i pugni e lo attesi, pronto ad ucciderlo se fosse stato necessario farlo.
Vidi un piede enorme, calzante uno stivaletto basso di pelle nero, poggiarsi sullo sterrato e sollevare minuscole particelle di polvere, seguito da una caviglia coperta dal jeans pesante economico.
Mi chiesi come fosse possibile che non avessi percepito la presenza di quell’essere prima di adesso, aveva una stazza enorme.
Finalmente svoltò l’angolo.
Era un uomo, con tutta probabilità. Aveva lineamenti che non mi erano per nulla familiari, nessun bestione gorilla che avessi mai visto aveva una faccia del genere. Era biondo innanzitutto, poi portava i capelli un po’ lunghi, che ricadevano dietro la testa con un ordine preciso. Il naso era dritto, regolare, le labbra sottili non erano mosse da alcuna forma di emozione. Gli occhi del grosso uomo erano nocciola, proporzionati al resto del volto. Non aveva la barba.
September lo guardò allibito
«Paul Hersen!» esclamò, scattando in avanti.
Il grosso uomo ridacchiò e la sua risata risuonò così profonda che credevo la terra tremasse. In realtà era stata la paura a farmelo credere una specie di gigante, in realtà questo tale Paul Hersen non era più alto di me, ma di sicuro era ben piantato. Doveva pesare almeno un centinaio di chili e dal giubbotto senza maniche sbucavano un paio di braccia muscolose e sode.
«Chi sei?» Gli chiesi, anch’io curiosa di capirci di più.
Lui mi guardò socchiudendo gli occhi
«Io mi chiamo Paul Hersen e sono un uomo. Tu chi sei?»
«Io sono Fury»
«E che cosa saresti?»
«Io?» esitai. Sapevo che lui sapeva, ma era sempre difficile dire la verità di fronte a qualcuno che non era come me. Per fortuna ci pensò September a chiarire la situazione
«Paul » disse, serio «La mia amica è una licantropa»
«Una donna lupo, vuoi dire?» il biondo parve divertito da quella risposta «Ho visto solo un’altra come te. E fu molti, molti anni fa, lo sai?»
«No, come faccio a saperlo?» ribattei io, incrociando le braccia. Mi ricordai di com’ero vestita e mi venne voglia di andarmi a nascondere. Speravo almeno che mi giudicasse un essere civile, anche se in un certo qual modo non lo ero affatto.
Paul mi si avvicinò, mi si affiancò e mi passò una mano dietro le spalle. Mi fece sentire a mio agio, mi trattava da pari a pari, non aveva paura di me. Forse. Non gli concessi un sorriso, ma almeno smisi di fare finta di ringhiargli contro.
Parve soddisfatto.
September ci guardava come se non avesse mai visto due come noi, poi scoppiò a ridere
«Voi due dovete sposarvi!» esclamò.
Io lo guardai male, ma Paul Hersen annuì
«Certo, probabilmente dovremmo» disse. Non sembrava ironico.
Mi sfilai da sotto la sua presa continuando a guardarlo male
«Insomma» iniziai a dire, cercando le parole adatte «Come vi conoscete voi due?»
«Ci conosciamo» disse Paul, appoggiandosi al muro, con una scrollatina delle sue enormi spalle
«Ci conosciamo perché dobbiamo andare nello stesso posto e perché avevamo lo stesso maestro» mi spiegò invece pazientemente September, con il sorriso sulle labbra.
Io annuii e li guardai a turno. Non mi sembravano persone da fare la stessa attività, erano fra loro profondamente diversi. Ma entrambi, di sicuro, erano dotati in maniera particolare. Avevano entrambi la magia, questa scorreva nelle loro vene. Ecco perché i loro odori erano così diversi, non erano umani nel senso più puro del termine.
September si mise le mani in tasca
«Anche Paul è un maledetto» mi disse, con un certo compiacimento «Ma purtroppo per noi non è un bel lupacchiotto, sennò ci farebbe compagnia. Lui ha un altro genere di maledizione, leggermente più cronica. Niente picchi di follia durante le notti»
«Ah si ?» io diventavo sempre più curiosa «E che cosa gli è successo?»
«Chiedilo a lui … ».
Colsi una sfumatura sarcastica nella sua voce.
Ma non m’ importava, decisi di chiedere ugualmente a Paul cos’era diventato.
Lui mi guardò severo prima che potessi parlare
«Vuoi sapere cosa sono?» mi chiese, ad alta voce
«Si» risposi, annuendo
«Bene, allora, visto che mi stai simpatica, te lo dico» si schiarì la voce con un colpo di tosse, poi mi si avvicinò fino a toccarmi con la spalla «La mia umanità non è stata intaccata come nel vostro caso, ma sappi che per sopravvivere sono costretto a nutrirmi di sangue»
«Sei un vampiro?» sobbalzai mentre lo domandavo, poi mi allontanai da lui di qualche passo.
September scoppiò in una delle sue risate strane ed argentine mentre Paul rimaneva serio.
Io ringhiai
«Un vampiro?»
«No» intervenne September, incrociando le braccia come se avesse freddo «Credi che ti farei fare la conoscenza di un vampiro? No, non è vampiro, è umano. Solo ha questo piccolo problema »
«E che succede se non si nutre di sangue?»
«Quello che succede se non si nutrisse di tutto il resto»
«Già» Paul sbuffò e mi rivolse uno sguardo amaro «Il mio organismo non è in grado di assimilare gli alimenti che mangiavo prima. Solo il sangue. Non potrebbe andare peggio, sono costretto a spostarmi di villaggio in villaggio per non dover dissanguare tutti gli uomini di una stessa zona. La fame mi divora a volte, sai?»
«Anche a me» ammisi io «E credo, beh, non ne sono sicura, ma credo di aver già ucciso degli esseri umani»
«Ah, allora stiamo sulla stessa barca … »
«Ve l’ho detto o no che vi dovreste sposare?» intervenne September, guardandoci a turno.
Io aggredì quel ragazzotto per gioco, lo sollevai e lo premetti contro la parete della casa, ma con delicatezza
«Tu parli troppo piccoletto!» gli dissi, facendo finta di essere furibonda.
Lui non si spaventò. Aveva un sangue freddo straordinario, sapeva che avrei potuto spappolargli il cranio, ma non gliene importava. Io gli sorrisi e lo mollai. Stavolta ricadde in piedi abilmente. Stava migliorando.
Annuii e poi mi voltai di nuovo verso Paul
«Va bene» gli dissi «Allora devo accompagnare entrambi a questo maledetto Villaggio del Sole».
Il grosso uomo piegò la testa in avanti sul petto in modo che i suoi occhi rimanessero in ombra.
«Si» mormorò «Dobbiamo andare entrambi al Villaggio del Sole»
«Oh, non mi sembri proprio entusiasta di farlo!» commentai io, muovendomi intorno a lui avanti e indietro con circospezione. Non sapevo cosa stava provando, come potevo essere certa che non mi avrebbe attaccata?
Il biondo risollevò lo sguardo. La sua fronte era corrugata e le sue sopracciglia tese in una strana espressione
«Beh, forse perché non lo sono»
«Come mai?»
«Beh, al Villaggio del Sole mi aspettando per qualcosa di cui non vi posso parlare, ma di cui non vado fiero per nulla»
«Ah, capisco»annuii, ricordando quante volte nella mia vita da umana, che ora sembrava infinitamente distante, avevo mantenuto segreti imbarazzanti. Mi chiesi dapprima che genere di segreto fosse quello di Paul, ma poi decisi di non indagare troppo a fondo.
September ci guardava entrambi con lo sguardo pieno di qualcosa che era molto simile all’espressione di un bambino piccolo di fronte allo spettacolo di un macellaio che uccide un vitello.
Io gli sorrisi
«Che hai, piccoletto?»
«Che ho?» lui si passò una mano fra i folti capelli rossi, sollevandosi la frangia e mostrando ancora una volta la croce celtica che era situata sulla sua chiara fronte ampia «Bah, solo che non riuscirò a capirvi se non fra un milione di anni o due?»
«C’è tempo» risposi, incrociando le braccia.
September mi superò e svoltò l’angolo
«Si, ma … »
«Ma?»
«Dove ce li procuriamo dei vestiti nuovi?»
«Non preoccupatevi» intervenne Paul, con la sua strana aria calma «Io ho dei vestiti che fanno al caso per voi. Ah, e meno male che la mamma diceva che fare l’inventore è una cosa stupida se pesi cento chili!».
Prese me a braccetto, poi afferrò September per la parte posteriore della tuta, sulla schiena, e ci trascinò praticamente a forza fino ad una casa non molto lontana.
Estrasse da una tasca interna del giubbotto un mazzo di chiavi pesanti, dalla foggia di quelle che in tempi antichi aprivano le porte delle segrete, e con quelle aprì la porta della casa.
Ci disse di accomodarci e noi due obbedimmo.
L’interno della casa era terribilmente disordinato e il colore predominante era il marrone, seguito subito dopo dal grigio. Tutto aveva un odore di polvere, di carta, di vecchio libro. E probabilmente dovevano essere proprio vecchi libri e vecchie pergamene ad emanare quell’effluvio.
Io e September ci sedemmo su due vecchie sedie dalle gambe graffiate. Notai che la spalliera della mia era sporca di sangue in un angolo, sopra l’intreccio di due pezzi. All’inizio mi parve un particolare curioso, ma perse del tutto importanza quando iniziai a osservare tutto quello che ci circondava.
Paul Hersen era appena sparito dietro una porta di mogano e ci aveva lasciati soli nell’entrata più straordinaria che avessi mai visto. C’erano statuette in stile etnico africano di quelle lunghe, alte e scure, c’erano maschere vudù appese alle pareti e quadri di artisti europei, pergamene egizie e illustrazioni cinesi e giapponesi di monti e di onde.
September iniziò a ridacchiare
«Che te ne pare?» mi chiese
«Che me ne pare?» ripetei io «Come mai ha tutta questa roba?»
«Beh, questo è il minimo per chi vuole studiare quello che studiamo noi»
«Voi?»
«Si» September annuì «Noi maghi. Sai, la magia è un’arte complessa e sconosciuta ai più, ma indizi di essa si possono riconoscere dietro le culture più disparate. Credenze. Prese da sole hanno poco fondamento, ma insieme … insieme possono conferire potere»
«Per esempio?»
«Alcuni riti di iniziazione delle tribù africane hanno un vero potenziale magico, fanno parte di preparazioni più complesse» mi spiegò, indicando la statuetta di un guerriero Masai che sollevava una lancia con la punta argentata «E quindi hanno bisogno di essere completate. Un mago studia questo: i pezzi delle preparazioni. Lo so, sembra stranissimo, ma devi sapere che alcuni gesti scaramantici europei, i riti vudù e l’omeopatia ad esempio sono tre componenti fondamentali per la trasmutazione dell’essere»
«Eh?» io lo guardai come si guarda uno fuori di testa, anche se ovviamente non stavo pensando quello «Beh, mi sembra difficile … io non credo a queste cose»
«Oh, peccato … » mi rivolse un sorrisetto a metà fra l’arrogante ed il malizioso «Ma guarda che non si tratta della magia degli stregoni che fanno vedere in tv. Questa è un’arte più antica. Più complessa. Più imprecisa. Non basta fare bibidi bobidi bu e poi puff! Succede quello che vuoi tu … no, qui l’energia necessaria ce la deve mettere il mago. Si tratta di una sorta di alchimia che usa come fonte da cui trarre energia il corpo di chi pratica l’arte»
«Uhm, affascinante. Anche tu hai una casa così?»
«Si, te la farò vedere appena avremo finito questo viaggio se vuoi, quando finalmente potrò … »
«Ecco qua» lo interruppe la voce di Paul Hersen, appena risbucato dalla porta accanto «Ho dei vestiti per voi, mi sembra che vi possano andare, ma anche se non vi andassero …» sorrise , finalmente, dopo aver tenuto quella specie di broncio per un’ora «Si potrebbe provvedere».
Io presi quello che il biondo mi porgeva. C’erano dei pantaloni grigi, dal tessuto lucido, una maglia del medesimo colore e una camicia rossastra. Accarezzai la consistenza degli indumenti e notai che era a metà fra quella della seta e quella della gomma. Inoltre era incredibilmente elastica.
Paul mi guardò soddisfatto
«Allora?» accennò, speranzoso
«Perché hanno questa consistenza?» chiesi io, sinceramente curiosa
«Questo genere di tessuto è deformabile circa sei volte di più dell’elastan e non si strappa. Ci ho lavorato perché sia perfetto. Gli abiti hanno all’interno una piccola, sottilissima imbottitura avvolgente di tessuto ugualmente elastico, ma più morbido e meno ignifugo» il suo sguardo si posò su September, come se sottintendesse qualcosa, e poi di nuovo tornò a me «Inoltre il tessuto è infatti resistente al fuoco, soprattutto nello strato esterno, ed ha un’importante funzione di trattenimento del calore, perciò è perfetto per l’inverno nonostante sia leggero quasi come la seta» mi spiegò. Era fiero della sua creazione, glielo leggevo negli occhi, ma me ne stava parlando come se fosse appena una bazzecola.
September intervenne ridacchiando sotto i baffi
«Sentite, ho un piccolo problema. Ehm, ma dove mi cambio? Cioè, non vorrei sembrare un po’ troppo pudico, ma non mi va di spogliarmi qua sotto»
«Uh, si vergogna il piccoletto» scherzai io, che non avevo assolutamente pensato al problema. Che poi dove stava scritto che era un problema?
Paul guardò il piccolo mago con il suo sguardo sereno
«Vai in camera da letto, al piano di sopra » poi si volse verso di me «Tu puoi usare il bagno» mi spiegò «Anche quello è al piano di sopra. Lasciate pure i vestiti vecchi a terra, non preoccupatevi, tanto stiamo per scappare da questo villaggio».
Io salii accompagnando anche September. Gli diedi un paio di pacche dietro la testa, poi ci separammo e io entrai nella sala da bagno attraverso una porta di legno laccato bianco.
Il bagno era tutto verde acqua. C’erano mensole, mobili, sanitari, tutto rivestito del colore verde acqua.
E c’era anche un buon profumo di mare, un odore che avrei giurato non si potesse sentire in città.
Mi cambiai. I vestiti che Paul Hersen mi aveva procurato erano perfetti, avvolgenti, stavano addosso senza dare fastidio o pizzicare da nessuna parte ed erano freschi come aria. Sembravano prolungamenti naturali della mia pelle.
Lasciai le mie vecchie vesti sul pavimento di piastrelle verdi e le osservai per qualche istante. La stoffa era lacera, vecchia, incrostata di fango, ed aveva quasi del tutto perso il suo colore originario. Ecco il motivo per cui tutti gli umani mi guardavano in quel modo strano.
Scesi al piano di sotto pettinandomi all’indietro i capelli con la mano. Avevo bisogno di tagliarli, erano cresciuti troppo, quasi mi superavano le spalle. Mi davano fastidio.
Paul Hersen era seduto in poltrona e leggeva tenendo in grembo una grossa valigia di pelle nera.
Prima non avevo notato la poltrona, forse era coperta da troppa roba.
Ora il biondo mi guardava con una strana determinazione
«Donna lupo » mi disse, piano.
Seguii affascinata il movimento delle sue labbra regolari. Era come rivedere qualcuno che conoscevo, ma non ricordavo chi fosse. Avevo visto già sentito quella voce, lo sapevo che la avevo già sentita.
«Ascoltami Donna Lupo» continuò Paul Hersen, in tono sempre calmo, sempre pacato, eppure in qualche modo spaventoso «Se tu verrai con noi sappi quello che ti aspetta. Non è la nostra una vita da lupi. Ma nemmeno da uomini. Donna Lupo, sei sempre stata libera, sei sicura di volerti unire a noi?»
«Certo» risposi io, ma qualcosa mi stava strizzando lo stomaco in maniera strana. Paura? No, io non provo paura. Fame? No, nemmeno quella. Era qualcosa legato alle parole di quell’umano strano, Paul Hersen, che voleva mantenere un segreto riguardo al viaggio che stavamo per intraprendere. Avrei chiesto spiegazioni a September, ma non ero sicurissima che anche lui sapesse quello che sapeva Paul.
La voce del biondo si fece leggermente più roca e più bassa
«Donna Lupo, quello che stiamo per fare potrebbe essere la tua fine e la fine di tutta la tua specie. Ma potrebbe anche essere la redenzione per quelli come te. Quindi devi decidere. Devi decidere in fretta. Io vorrei che tu venissi con noi, ma non posso condizionarti. Questa scelta è solo tua ed io ritengo giusto dirti a cosa vai incontro» i suoi occhi nocciola parvero divenire sempre più profondi mentre mi fissavano, mentre sembravano volermi entrare dentro «Stiamo per intraprendere un viaggio che forse non verrà mai narrato da alcun bardo, ma che sarà più pericoloso di quello che fu intrapreso per la distruzione dell’unico anello nella Terra di Mezzo o della ricerca dell’Immortalità per mezzo della Creazione della Pietra Filosofale. Sta a te decidere se iniziarlo o sottrarti. Sta a te decidere se tenerti lontana dalla morte o sfiorarla per tentare di rubarle tutto»
«Voglio rubarle tutto» dissi io, senza neppure rifletterci tanto. Era il mio cuore che batteva forte a suggerirmi le risposte, il mio fisico intero era pronto.
Non seppi mai dire con certezza quanto tempo passò prima che lui parlasse di nuovo.
Avrei ricordato per sempre la figura di quel grosso umano biondo seduto in poltrona, illuminato dalla fievole luce di un sole che scompariva all’orizzonte, e che mi fissava invitandomi a scegliere qualcosa che a quei tempi non conoscevo.
Finalmente Paul Hersen dischiuse quelle sue labbra sottili e i suoi denti brillarono della luce rossastra del tramonto
«Nessuno ti condannerà » alzò appena appena il mento, mostrando la gola ampia
«Se abbandonerai questo compito… » concluse.
September comparve dietro di me correndo giù per le scale. Percepii in lui un profumo più forte di quello che ricordavo prima.
Seppi con certezza che lui doveva rimanere all’oscuro delle parole che Paul mi aveva appena detto.
Diedi un ultimo sguardo agli occhi nocciola del biondo, poi mi volsi verso September
«Sei pronto?» gli chiesi
«Eccomi!» mi disse lui «Mi sono anche fatto una doccia!»
«State buoni, selvaggi lupi » intervenne Paul. Le sue parole non mi suonavano nuove, ma comunque speravo che le avesse dette in tono scherzoso invece che, come al solito, con quel suo tono calmo.
Ci guardò male, inarcando le sopracciglia
«Dimenticate le maledizioni»
«Che maledi … » io stavo per rispondere “che maledizioni?” quando mi ricordai di September. Lui era un uomo lupo maledetto. Come avremmo fatto a viaggiare?
Ma Paul Hersen, inspiegabilmente, dopo averci dato quell’avvertimento, uscì portandosi il valigione foderato di pelle nera e uno zaino di stoffa verde. A Paul doveva piacere parecchio il verde, ma doveva essere di sicuro anche uno psicopatico. Almeno quella fu la mia prima impressione …
 
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erasmoasciol
view post Posted on 14/7/2010, 16:49




veramente i miei complimenti è bellissimo!!!
 
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artenair
view post Posted on 15/7/2010, 13:24




ma grazie mille!
 
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*Lis&siL
view post Posted on 15/7/2010, 13:33




uuuh non mi ero accorta di tutto ciò!! Appena ho tempo leggo tutto e dico la mia! .)
 
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15 replies since 7/3/2009, 16:18   461 views
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