World of Werewolf

Ventunesimo Secolo, Ogni Era ha i suoi eroi.

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artenair
view post Posted on 16/6/2009, 15:18




“Tutt’intorno a noi accadono le cose straordinarie …
… Noi abbiamo la chiave per vederle”


--Prologo--

Nella notte s’ode un fruscio basso, una striscia, rossa come di sangue, saetta dietro le caviglie di una giovane donna. Lei si gira, gli occhi azzurri socchiusi come se non volesse vedere davvero chi la insegue, ma non c’è nessuno. La strada è desolata e grigia, racchiusa fra due filari scuri di edifici con le finestre squadrate, tutto è buio.
Eppure le era sembrato di vedere qualcuno, o qualcosa, che si muoveva e di sentire il fiato freddo del fato accarezzargli con dita di ghiaccio l’incavo del collo …
In silenzio continua a camminare, più rilassata, sotto il braccio destro la cartella di cartoncino azzurro con i progetti della sua azienda, il vecchio cappotto grigio, con il colletto di pelo, che svolazza sulle sue gambe lunghe.
Non ode il grido stridulo e sofferente che proviene dal lontano vicolo laterale, non vede i bagliori d’argento liquido né gli schizzi scarlatti del sangue.
La giovane donna non saprà, probabilmente mai, che qualcuno l’ha salvata. E che qualcuno l’ha salvata senza un motivo che lo riguardava direttamente, ma solo perché sapeva che ciò era giusto e perché era nato per essere un eroe. Un essere che non poteva far altro che compiere ciò per cui era nato.
Quello stesso qualcuno adesso ha una missione in più da compiere … il suo grosso corpo ammantato di nero esce dal vicolo laterale in cui si era compiuto lo scontro. Nessuno lo nota, neppure quando lui passa in mezzo a un gruppo di ragazzi. Eppure è grosso, enorme, una montagna di solida tenebra. Silente, il suo passo è leggero, come aria che sfiora l’asfalto caldo.
Sarebbe partito l’indomani mattina verso l’India.
Ciò che aveva visto quella notte era stato un messaggio chiaro: l’Equilibrio era stato compromesso e lui doveva fare quello che poteva per ripristinarlo.
D’improvviso, distratto e assorto nei suoi pensieri, incrocia la donna con il cappotto grigio.
Lei lo saluta sollevando la piccola mano. Lui non la conosce,l’ha già vista solo una volta, ma ugualmente china il capo in segno di rispetto. La donna strizza gli occhi per distinguere qualche tratto del volto dell’uomo che ha incrociato per strada, ma non ci riesce. Ne intravede solo gli occhi per un istante, come un miraggio, in un pallido bagliore verde come di aghi di pino, ma non è neppure più sicura di aver visto veramente quelle iridi. Non lo riconosce. Eppure lui ha qualcosa di familiare, come se lei lo avesse già visto da qualche parte, di recente …
Poi ognuno continua per la sua strada: da un lato passa, rapida e visibile, la Normalità, dall’altro striscia via lo Straordinario…
Una scena cha capita spesso, sotto gli occhi di tutti. E che nessuno sa interpretare per come in realtà andrebbe interpretata.
∞†††††††††††††∞
Tempo di rivoluzione

Chiamate eroi coloro che guidano il popolo verso la libertà del corpo e dello spirito ed oltre la schiavitù e la distruzione.
Chiamate eroi coloro che si battono, a costo della vita, giorno dopo giorno senza riposo, contro forze ignote e oppressive, contro le energie contrarie all’Equilibrio.
Ma gli eroi non esistono più per noi.
Il popolo non ha alcun motivo di credere ciecamente all’esistenza di quelle salde mani dei guerrieri protettori che lo circondano benevole nella loro cappa di buio fatta per scaldare e curare.
Forse. O forse no.
Rapidi, letali, silenziosi, si muovono nel buio come alla luce del giorno, remoti come dei, scaltri come demoni …
Loro sono in mezzo a noi. Non li vediamo, o se li vediamo non li riconosciamo, anche se spesso le loro fattezze sono diverse e ci suggeriscono quella che è la realtà.
Farsi vedere è una tecnica come un’altra per confondersi: se vedete un uomo che chiama licantropo un vecchio amico dall’aspetto strano è davvero difficile che pensiate che quest’ultimo sia veramente un licantropo. Questo è il modo in cui si confondono.
Più difficile vederli quando agiscono. Sono veloci. Sono astuti. E lasciano poco al caso.
Possono inseguire instancabilmente la preda per giorni, per mesi, per anni, attraversando la città sotto gli occhi di tutti, ma non si comporteranno come degli ammazzademoni laddove la gente comune si affolla. Loro possono vedere cose che noi non vediamo, possono accedere a luoghi di cui non conosciamo l’esistenza, possono sapere tutto di noi mortali.
Perché loro vivono da secoli. O da pochi giorni come da sempre.
Guardatevi intorno con attenzione, sempre.
Attendete.
Li vedrete giungere, prima o poi, e li riconoscerete.
Saprete che loro sono gli Immortali …



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Che ve ne pare come introduzione? posso continuare?
 
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irysforever
view post Posted on 26/2/2010, 02:52




certo che puoi continuare..... è bellissimo a dire poco... aspetto il tuo continuo,ciaoooo
 
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Fenrir The Wolf
view post Posted on 19/6/2010, 11:01




Bello! Molto! Se lo continui potresti postarlo? :)
 
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artenair
view post Posted on 3/7/2010, 14:28




CITAZIONE (Fenrir The Wolf @ 19/6/2010, 12:01)
Bello! Molto! Se lo continui potresti postarlo? :)

Se lo continuo? Ma carissimo, io ho già finito un poemone di oltre trecento pagine A4... certo che lo posto, visto che mi si richiede! Ecco la prima parte del primo capitolo (il primo capitolo è troppo lungo per essere postato per intero...)
Ps. E perdonatemi se lo metto così grande, ma ho notato che così è molto più semplice leggere...

LIBRO PRIMO- Gli eroi lontani dal mondo civile


“Il percorso è insidioso, la via tortuosa
La Pietra delle Fonti non attende gli uomini.
Nel cuore della Selva affronterai ogni belva
A guardia del Tesoro i tre Cani Leggendari
Nel centro delle ombre, ove la tenebra irrompe,
palpita il cuore della terra di mezzo
Terra promessa dell’acqua e dei venti
Che ad ogni costo erigerà barriere
Per preservare il suo antico segreto che mai anima umana osò sfiorare
Immenso potere di uragano, di tempesta, di cascata,
fonte di ogni dolcezza che tiene vivo il mondo”


Capitolo . 1
Orion e Mark

“Fu così che Terra affrontò l’immensità fredda della Tenebra”



La luce dorata del sole filtrava fra i rami illuminando di un giallino brillante tutto quello che sfiorava. Figure scure, come d’ebano si elevavano dal terreno fertile, bruno, ricoperto di foglie, muschio e humus. Alberi. E nello splendore selvaggio della foresta, luogo abbandonato dagli uomini e riscoperto dalla vita, si aggiravano viandanti silenziosi.
I viaggiatori erano in quattro, tre uomini ed una donna.
Se fossero stati i cavalieri ed eroi di un altro tempo li avrebbero chiamati il Giovane, la Bella, l’Anziano e il Grande, ma poiché erano eroi e cavalieri del ventunesimo secolo non era andata propriamente cosi. Non portavano armature, né spade, né lance o asce, ma vestiti semplici, informali, fatti per muoversi agevolmente nell’intrico della foresta indiana, poche provviste, armi piccole e maneggevoli come le pistole o i coltelli da caccia.
Colui che guidava il gruppo era quello che avrebbero chiamato il Grande e non solo per la sua taglia enorme. Era un uomo di una razza quasi estinta,che non si può osservare tutti i giorni nelle strade delle città, alto, le spalle larghe, la pelle chiara ed i capelli rossi, lunghi fino alle spalle e leggermente ricci. Aveva lineamenti rari, un incrocio fra ciò che esiste di più duro e la tenerezza stessa di un volto umano, la mascella dal tratto dolce, la barba corta, ma il resto del volto era come scolpito nel marmo e generalmente cambiava di poco la sua consueta espressione perennemente a metà fra il cupo e il fiero. Subito dietro del Grande veniva l’Anziano, un uomo senza dubbio più comune, il tipico americano benestante: abbastanza alto, i capelli grigi, gli occhi castani, forse neppure tanto anziano, ma di certo meno giovane dei suoi compagni. Camminava guardandosi spesso indietro, non disinvolto come avrebbe voluto essere, e cauto, sfiorando talvolta i rami o i tronchi con le punte delle dita come per saggiarli.
E infine c’erano il Giovane, capelli corti,spettinati, neri come ali di corvo, e la Bella.
Il gruppo avanzava al massimo da due ore nella foresta, facendosi largo fra il fitto intrico di vegetazione. In realtà era l’aprifila che con la sua grossa mole faceva strada e gli altri gli trottavano dietro senza neppure tanto sforzo, trainati dalla sua scia.
Il ragazzo, che camminava stretto accanto alla fanciulla come per trovarvi riparo, continuava a lamentarsi con una voce leggera, ancora acerba e fastidiosa
«Perche siamo qui?» pigolò «Cioè, voglio dire: mi avete buttato su un vecchio jet scassato e mi avete trascinato a...dove avete detto che siamo?»
«Parco di Khana» rispose spiccia lei, passandosi una mano fra i lunghi capelli castani.
Il ragazzo sbuffò e la guardò mentre i suoi piedi sembravano camminare per i fatti loro, come guidati dalla forza di inerzia. Dovette ammettere dentro di se che stava contemplando una donna davvero bella: occhi curiosi da cerva, grandi e color nocciola, un fisico tonico, anche se un pò più muscoloso di quello delle ragazze di città, atletico, mani delicate, la dolce curva sulle labbra...
«Siamo quasi al primo rifugio».
Una voce profonda e cupa strappò il giovane dai suoi pensieri per riportarlo alla realtà. Il ragazzo sbuffò e avanzò a brevi balzi verso colui che guidava il gruppo
«Ma tu non ti stanchi mai?» chiese, quasi stufato da tutta l’energia che quel corpo pesante era capace di emanare
«Si che mi stanco» rispose divertito il gigante, guardandolo con i suoi occhi seri dello stesso colore della foresta, un verde cangiante e mimetico che non si poteva definire in fondo neppure verde. Rimase qualche istante in silenzio, volgendosi verso la vastità immensa della foresta indiana,poi seguitò a parlare più spedito
«Solo che non siamo in viaggio da tanto tempo...» si giustificò sottovoce
«Ah no?» il ragazzo era incredulo e la mascella gli tremava lievemente «E quanto pesa il tuo zaino?»
«Non saprei di preciso, non molto credo» il gigantesco uomo diede un’occhiata dietro di sé, dove si ergeva la massa minacciosa di uno zainaccio nero di tela, pieno di bozzi, da dodici chili almeno. Se per lui non era molto...
Il terzo uomo, il più anziano e con i capelli ingrigiti, scoppiò a ridere con voce raschiante
«Pensi di poter vedere Mark stanco?» esclamò, allegro «Penso proprio che dovrai faticare tu, e parecchio direi, per riuscire spompare lui»
«Già» convenne la donna «Ancora non lo conosci il nostro capo, caro Harry..»
«Io sono il capo!» sbottò quello più maturo, dandosi da solo una pacca sul petto
«Viiince» sbuffò lei «Ma daaai...»
«Niente daaai...»
«Chi ti ha detto da che parte andare? A chi è stata assegnata questa missione? Chi può prendere la pietra delle Fonti?» elencò lei, sollevando uno alla volta le dita della mano sinistra
«Va bene»fece rassegnato Vince, lasciando ciondolare le braccia ai lati del corpo «Il capo non sono io»
«E chi è?»
«Uhh...ci tieni tanto?» soffiò, irritato come un gatto a cui avevano hanno buttato dell’acqua in testa
«Sii, certamente, presidente, ci tengo»
«Va bene, è Mark ».
Il grande uomo in testa al gruppo si girò lentamente a guardare, con pacatezza
«Sono io cosa?» domandò, la voce profonda che tradiva tracce di curiosità
«Il capo» rispose Vince, candidamente.
Harry si mise a sghignazzare e si beccò un ramo in faccia, meglio ancora in bocca, il che suscitò l’ilarità generale più scatenata. Solo Mark non rise, come se in fondo gli dispiacesse per quello che era successo. Il gruppo aveva invece un assoluto bisogno di ridere, vista la situazione.
Harry era come un bambino e la gaffe disastrosa lo fece chiudere in se stesso per un pò, imbronciato e sbuffante di stanchezza.
Vince controllò il proprio orologio, deglutendo
«Si sta facendo tardi … » borbottò, con le labbra leggermente tremanti «Siamo stanchi, Mark, siamo davvero stanchi» sottolineò la parola davvero marcando il tono, poi sbuffò ancora «Perché non ci fermiamo?»
«Dobbiamo raggiungere il rifugio» rispose il gigantesco uomo che apriva la fila, con durezza
«Si, certo» mugolò sottovoce Vince, rassegnato e sottomesso, frugando con la punta delle dita nella tasca destra del proprio giubbotto.
Finalmente il primo rifugio comparve fra l’erba inondata di sole che a tratti intervallava la foresta vera e propria.
Era una casetta di cemento semplice, le mura incrostate di muffa nera e bluastra e di tralci di rampicanti sottili con foglioline trilobate. Aveva una porta robusta,di legno scuro compatto.
«Vediamo se John è arrivato prima di noi» Disse speranzoso Mark, a voce bassa.
Stava ragionando fra se e se, ma per qualche ragione ignota qualcuno riuscì a captare la sua frase e rispose.
«Oh, e secondo te sono quella tartaruga che arriva dopo, vero?» urlò con vocione vivace un tizio con un grosso cappello bianco da cowboy che era appena uscito dalla casetta «Vecchio mio!» esclamò, aprendo le braccia, gioviale.
«Hey,volpone caro...» Mark stava per avvicinarsi e mimare il gesto quando si fermò d’improvviso, sospettoso, il volto di granito immobile in un’espressione diffidente che era quasi terrificante «siamo sicuri che tu sia John?».
L’uomo con il cappello bianco sospirò alzando di qualche centimetro le spalle …
“Mark e la sua mania di controllare la gente” pensò...ma era più che plausibile voler controllare, dopo tutto quello che era successo un anno prima. Un disastro, per essere precisi.
«Chiedimi qualunque cosa » Rispose, cercando di sembrare più che calmo «Qualcosa che solo il tuo vero amico può sapere».
Mark si levò lo zaino e lo lasciò dondolare a quaranta centimetri da terra,tenendolo per una sola bretella con due dita della mano sinistra, poi fissò John tacendo. Gli bastava un particolare...percorse con lo sguardo la figura che gli stava davanti partendo dai ciuffi di un chiaro castano che sbucavano da sotto il cappello, poi gli occhi scuri e furbi,il sorrisetto arrogante, la pancetta eccedente sotto la camicia panna...si era lui. Ora solo una domanda.
«Chi è il mio affetto più grande?» Chiese .
Mossa astuta: un nemico che prende le sembianze di qualcuno si documenta su ciò che piace a colui di chi ha preso l’aspetto, non ai suoi amici.
John esitò qualche secondo, in difficoltà. Che domanda idiota e che domanda difficile … non sapeva che rispondere. Non pensava che Mark potesse porre proprio quel quesito … era imbarazzante. Esitò per qualche istante
«Shadow, vero?» sparò alla fine, riluttante nel pronunciare il nome di una qualunque donna
«Vieni qui!» esclamò Mark, abbracciando l’amico dopo aver mollato lo zaino a terra «Allora» continuò, allontanando l’altro uomo da se,ma con le mani sempre posate sulle spalle «Sei pronto per ricominciare?»
«Quanto tempo … » sussurrò sognante John «…Da quando abbiamo costruito il primo rifugio…non pensavo che il destino ci avrebbe riportati qui…»
«Nemmeno io…» confessò Mark, in un rauco mormorio «Avrei mai pensato di dover cercare un tesoro proprio qui…»
«Andiamo?»
«Hai cosi tanta fretta di metterti nei guai» osservò il rosso, sincero
«Oh,non ci saranno guai…»
«Il percorso è insidioso, la via tortuosa» declamò serio Mark, con quel suo accento americano roco e il tono solenne e minaccioso che si inarcava in note sempre più basse su certi punti «La Pietra delle Fonti non attende gli uomini. Nel cuore della selva affronterai ogni belva, a guardia del tesoro i tre Cani Leggendari, nel cuore delle ombre palpita l’anima della Terra di Mezzo che ad ogni costo erigerà barriere per preservare il suo segreto»
«Bella poesia senza dubbio, un componimento davvero inquietante» fu il commento di John, per metà ammirato e per l’altra metà sarcastico «L’hai fatto tu o …»
«No, l’ho sentito» si affrettò a rispondere Mark, prendendo immediatamente le distanze da quel genere di arte, per così dire, da “lievi” poeti
«Dove?»
«Artenair e il vecchio Mago… anche i druidi però mi hanno dato una mano a capirci qualcosa. Non era scritta, come si dice, comprensibilmente»
«E cosi cerchiamo una cosa che si chiama Pietra del Fonti?» mentre chiedeva, John si guardava in giro sorridente
«Proprio cosi» completò Vince, scrutando nuovamente l’orologio da polso con fare professionale «Ma io direi di entrare in casa e…»
«Entra tu se vuoi» disse calmo Mark, i toni della voce bassi e vagamente modulati nell’imitazione inconsapevole di un ringhio «Io ho un lavoro da fare. Riposatevi finché potete, perché siamo nel territorio del primo Cane Leggendario».
Ci fu qualche istante in cui gli umani tacquero, lasciando che un piccolo gruppo di scimmie riempisse con le sue grida acute e stridenti il silenzio dell’umida selva, poi John sorrise alzando ancora di più gli angoli delle labbra e aprì bocca
«Per millenni» ansimò, trattenendo qualcosa di simile all’ilarità «Anzi, per più tempo ancora nessuno ha mai raccontato di aver visto questo ehm…Cane Leggendario. Mi capisci?»
«Cosa vuoi dire?» ringhiò l’uomo dai capelli rossi, torvo
«Vuol dire che…» completò Vince esitante «Un sacco di gente è passata di qui prima di noi, questo posto non è così nascosto e inaccessibile… per carità non metto in dubbio le tue parole» la sua voce, già graffiante, divenne anche ironica «…Come mai il Cane Leggendario non si è mai rivelato a nessuno?»
Mark parve sollevato dalla risposta datagli e a sua volta parlò, meno cupo
«Il Cane Leggendario non si è mostrato mai agli esseri umani» spiegò, buttando lo zaino al sicuro nel rifugio con un gesto disinvolto «Ma solo perché nessuno di coloro che entrato nella foresta puntava alla Pietra delle Fonti. Sapete noi ci lasciamo indietro una miriade di piccoli indizi che fanno capire dove siamo diretti esattamente. Lui lo sa» Le parole rimasero ad aleggiare per qualche secondo, velate di minaccia.
Lui lo sa.
Come per effetto di qualche formula magica l’aria divenne più fredda, non frizzante, ma statica, immota. Come quando si è calmata da appena qualche ora una terrificante tormenta, lasciando dietro di se solo un deserto di ghiaccio in cui i pochi viventi devono lottare per svegliarsi e sopravvivere.
Era un fenomeno a dir poco inspiegabile se non con l’autosuggestione, ma tutti si guardarono e tutti lessero negli occhi dei compagni che il freddo li aveva colti.
Harry si iniziò a sfregare le mani con nervosismo per produrre un pò di calore nel freddo crescente.
Quasi quasi iniziava a crederci anche lui a tutta questa storia stupida e assurda.
Per metterla come la vedeva lui, non aveva mai capito perché Vince e gli altri prendessero per oro colato qualunque cosa dicesse quell’uomo inquietante dai capelli rossi, ma ora aveva improvvisamente voglia di fuggire dal gelo provocato da ignote forze di cui poco prima non avrebbe mai ammesso l’esistenza.
“Forze ignote. Che cosa assurda” Pensò
Poi un verso lugubre riecheggiò lontano, basso, animale.
Qualcosa di estremamente simile a neve iniziò a fioccare dal cielo insieme a una brezza gelida da far accapponare la pelle e che frustava gli alberi facendo ondeggiare i grappoli di frutti e di foglie scure. Ma era tutto troppo repentino, troppo rapido per essere naturale …
Harry sgranò gli occhi di sorpresa e la sua espressione si ammorbidì ancora, come se la sua faccia stesse per sciogliersi da un momento all’altro.
«Laggiù» gridò John, eccitato e spaventato dalla potenza dell’apparizione improvvisa.
Lontano, fra l’erba alta, si ergeva un enorme animale, più simile ad una tigre gigante che ad un cane,ricoperto di un lungo e folto pelo serico marrone, lucido e magnifico nella luce che si affievoliva. La parte anteriore del suo corpo era ammorbidita da pelliccia più lunga che nella parte posteriore, ma che nascondeva una struttura muscolare e ossea straordinariamente potente e tozza. Aveva grandi zampe bianche, petto e gola candidi, una scura coperta di vello cinereo che gli sormontava la schiena fino a terminare nel grande ciuffo morbido della coda, scuro come carbone.
Alla base degli arti anteriori, racchiudenti le spesse caviglie e i tendini, luccicavano due anelli di acciaio o qualche altro metallo brillante e argenteo.
I suoi grandi occhi dalle iridi rossastre guardarono gli uomini, i suoi muscoli possenti si contrassero, ma prima ancora che potesse spiccare un balzo tutti videro il grande corpo di Mark muoversi velocemente verso il Cane, deciso, feroce, quasi bestiale.
L’uomo, per qualche strano motivo, sembrava molto più grosso dell’animale quando era arrabbiato.
«Ma che vuole fare?!» gridò Harry impressionato, terrorizzato, percorso da brividi.
Il giovane non riusciva a concepire che potesse esistere una creatura simile a quella che vedeva fra l’erba alta né tantomeno poteva capire con quale coraggio suicida Mark si stesse lanciando in bocca a quel mostro.
La creatura spalancò le fauci, ma non emise alcun rumore. I suoi occhi lampeggiarono sinistri.
L’uomo e il Cane Leggendario furono uno di fronte all’altro.
Fu subito azione: le zampe potenti proiettarono in avanti e in alto la mole del guardiano, Mark, con altrettanta forza, si slanciò contro il ventre bianco della belva ed entrambi rovinarono a terra in un turbinio di polvere, nevischio appiccicoso ed acqua,ma poco dopo erano ricomparsi, per poi riapparire subito dopo molto distanti fra loro. Sembrava una danza, ma la coreografia era eccezionalmente frammentaria, scattante, poco fluida per essere veramente gradevole, eppure solo da quello si capiva che era un combattimento.
La neve era ormai sempre più alta, il lieve fioccare si era trasformato quasi in una tormenta, ma per ora erano tutti troppo occupati a guardare quello strano scontro per ricordarsi di entrare nella casetta che li avrebbe riparati dal gelo.
 
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3 replies since 16/6/2009, 15:18   134 views
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