| ecco la mia creatura appena sfornata!!! questo è il prologo spero che vi piaccia. vi raccomando commentate!!!
Prologo
La luna, alta nel cielo, immobile, il suo pallore accecante illuminava tutta la radura rivelando i più piccoli particolari della foresta. Il ragno tesseva la sua ragnatela, il coniglio si nascondeva nella sua tana, il pipistrello si svegliava scrollandosi con un battito d’ali il torpore da dosso. Lentamente la vita che scaturiva dai raggi di quel pallido corpo celeste si stava ridestando. Tutti gli animali della notte uscivano dalle loro dolci dimore per riprendere ciò che avevano sospeso durante il giorno lasciando il posto agli animali diurni. Era tutto un ciclo continuo. Giorno e notte, sole e luna si alternavano costantemente, scappavano come inseguiti da qualcosa, e gli animali abbandonavano le loro attività abituali per lasciare il posto ad altri animali. Quella notte però qualcosa di diverso aleggiava nell’aria. Pericolo. Morte. Gli animali lo sapevano e stavano all’erta, quasi in attesa di un qualcosa di inevitabile. La luna stava cambiando. Stava entrando nello spettro d’ombra della Terra e il suo colore mutava. Quel tipico pallore virginale che la contraddistingue non c’era più. Ora ella era rossa, del colore del sangue, del colore della morte. Una rossa luna piena. D’un tratto un ululato riecheggiò nella foresta. Poi silenzio… La vita sembrò fermarsi all’istante, come se stesse trattenendo il fiato per vedere cosa stesse per succedere. Un altro ululato… più forte. Uno sparo… Di nuovo un ululato… questa volta di dolore. Due occhi gialli di una sinistra luminosità d’improvviso spiccarono dall’oscurità del sottobosco. Una figura si muoveva avvolta dalle ombre. Una lupa. Era ferita. Le avevano sparato ad una zampa rallentando la sua veloce andatura. Sentiva quel mortale veleno penetrarle nel sangue. Dietro di lei le grida lontane di quelli che una volta furono i suoi compagni e che, ora, le davano la caccia. Doveva affrettarsi. Stava per partorire e doveva trovare un rifugio adeguato lontano da quei mannari insulsi e venduti ma non riusciva a correre, la zampa le doleva moltissimo e ogni volta che provava a poggiarla a terra una fitta di dolore le attraversava tutto il corpo scuotendola violentemente. Ora però non aveva il tempo di soffrire, l’avrebbe fatto più tardi. Doveva pensare a fuggire via. Doveva correre e trovare un riparo. Raccolse tutte le energie che aveva in corpo e le concentrò attorno alla caviglia per cercare di dimenticare il dolore. Si fermò un attimo, si guardò attorno. Inspirò più volte sentendo l’aria gelida penetrarle i polmoni, gettò nuovamente un’occhiata tutt’intorno. Anche se ferita in forma lupina era molto più agile dei suoi inseguitori che, almeno per il momento, avevano fattezze umane. Studiò il terreno mentre la sua mente elaborava un percorso adatto e, mentre gli inseguitori guadagnavano terreno, inspirò di nuovo e lanciò immediatamente in una folle corsa. Corse e corse e corse ancora cercando di confinare il terribile dolore e soprattutto cercando di non pensare al veleno che le stava divorando le membra. Ormai per lei non c’erano più speranze, il suo destino era segnato. Una volta che si è colpiti dall’argento non c’è più via di scampo. Ma a lei questo non importava. Voleva vivere, almeno il tempo necessario per dare alla luce la sua creatura. Era stata lei la prescelta, lei che doveva dare alla luce colui che avrebbe sovvertito l’ordine delle cose. Ora doveva portare a termine la sua missione. Mentre pensava a tutte queste cose, finalmente trovò un riparo: una piccola spelonca che era lì come se fosse stata messa dal fato per l’occasione. Entrò nella caverna e poi, dopo momenti di travaglio che sembravano un’eternità diede alla luce la creatura. Dopo poco tempo il suo sopraffino olfatto percepì un odore familiare: erano i suoi inseguitori. Stavano venendo a prenderla e con lei la creatura. L’avevano raggiunta. Non sapeva come, ma erano riusciti ad arrivare fino a lì. Panico. Non sapeva cosa fare, era troppo debole. Se non fosse stata ferita sarebbe stata in grado di abbatterli ma ora il discorso era totalmente diverso: stava morendo. Quando sentì che si stavano avvicinando alla caverna, raccolse tutte le sue forze e spiccò un gran salto atterrando uno di loro. Cerco la gola e, quando la trovò, strinse forte. I denti penetrarono in profondità e riuscì a spezzargli il collo. Uno era morto, ma erano ancora in quattro, troppi per lei. Raccolse un’ultima volta le forze vitali e, ringhiando, cercò di colpirne un altro ma una pioggia d’argento la penetrò. Troppo veleno il suo corpo non riusciva a sostenerlo. Le forze la stavano abbandonando, stava morendo. L’unica cosa che le rimaneva era pregare che quei bastardi non entrassero nella caverna altrimenti i suoi sforza sarebbero stati vanificati. Le sue preghiere furono esaurite. I suoi inseguitori se n’erano andati via e la lasciarono lì a morire, non pensando che avesse portato a termine il suo compito. All’alba la lupa esalò il suo ultimo respiro.
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